Il Bringantaggio nel Mezzogiorno
L’agro della Terra delle Gravine è un territorio stratificato, caratterizzato da un patrimonio materiale e immateriale che non si limita solo all’antichità e al medioevo, ma si estende anche all’età moderna e contemporanea. La storia di questi luoghi è infatti anche profondamente legata ad alcune figure di briganti, resesi celebri negli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, per il loro azione che sin da subito ebbero un valore politico di eversione in un Mezzogiorno, che da allora e per molti decenni in avanti, interpretò l’unificazione come un atto di occupazione e non di unificazione. Molte di queste figure, sospese tra storia e leggenda, hanno contorni spesso difficili da definire, non tanto per la loro veridicità storica - provata da diversi documenti – quanto per la portata interpretativa di alcuni episodi che risentono inevitabilmente del fascino della narrazione popolare.
Tra storia e leggenda: il “brigante” Antonio Locaso, detto U Craparjidde
Tra queste figure c’è sicuramente Antonio Locaso, detto u Craparijidde. Si sa poco della sua giovinezza, tranne il fatto che fosse di origini lucane. Il suo soprannome deriva probabilmente dalla sua bassa statura e dal fatto che pascolava le capre, probabilmente proprio nelle campagne castellanetane.
La tradizione vuole che la sua latitanza sia iniziata in seguito a una reazione ad un atto di ingiustizia sociale: avrebbe infatti ferito gravemente uno dei “padroni” che aveva ucciso una povera donna intenta a rubare un po’ di grano. In seguito a quell’avvenimento pare che fu costretto a darsi alla macchia, divenendo un brigante amato dalla povera gente, per la sua tendenza a distribuire derrate alimentari rubate ai ricchi proprietari terrieri.
Nel clima violento dello scontro tra filoborbonici e piemontesi seguito all’unità d’Italia, si unì ai rivoltosi e continuò a nascondersi proprio nell’agro di Castellaneta: venne catturato il 15 gennaio 1863 in contrada Stemina, ad appena 22 anni, dalla cavalleria della Guardia Nazionale, che aveva a capo Mauro Perrone, che poi divenne sindaco della città.
La sua cattura è contraddista da una storia avventurosa: a quanto pare un suo amico informatore delle forze dell’odine gli avrebbe regalato una bottiglia di vino drogato che bevve insieme al suo compagno Marino Todisco. Mentre i due si addormentarono, per effetto delle droghe contenute nel vino, giunse la cavalleria. Todisco riuscì a scappare, mentre Locaso cadde da cavallo e si nascose nella macchia: fu individuato a causa del latrare di un cagnolino che si trovava nei pressi del cespuglio.
Durante l’interrogatorio, che si svolse nel palazzo del Seminario, sembra che u Craparijidde non abbia mostrato segni di cedimento, mantenendo un atteggiamento di rigoroso rifiuto a fornire informazione ai giudici. Sarà fucilato il giorno 17 gennaio 1863 a Castellaneta, alle due e mezzo del pomeriggio, nei pressi delle tre croci in via Calvario.
Un detto popolare della Terra delle Gravine lo ricorda cosi: "Tagghia fè' fè' a morte du Craparijdde"
Il territorio di Castellaneta e Laterza durante il brigantaggio
Non troppo lontano da Castellaneta vi è il “passo di Giacobbe”, nel territorio di Laterza, da dove negli ultimi decenni dell’800 penetrarono diverse bande brigantesche lucane per introdursi nella Terra delle Gravine. Una circolare la Regia Prefettura di Taranto avvisa i sindaci del territorio che “Crocco, battuto in Capitanata con la sua banda, cerca di introdursi nel vicino territorio di Basilicata, tenendo la via del “Passo di Giacobbe”. Carmine Crocco, il terribile brigante di Rionero che arrivò a comandare più di due mila “capiscerrati” scrive nelle sue memorie: “Ho percorso con la mia banda le deliziose pianure di Foggia, la Terra di Bari, la marina di Basilicata, mi sono spinto sin sotto Lecce; a Ginosa, a Castellaneta, compiendo ovunque depredazioni e ricatti, talvolta sfuggendo le truppe, altre volte attaccando all’improvviso, spesso coll’agguato e coll’insidia”.
Masseria Giacoia
La masseria “Giacoia” è situata luogo il fianco occidentale della gravina omonima, tra i tenimenti di Castellaneta e Laterza, posta ai piedi della riserva naturale di Montecamplo; si presenta con l’aspetto di vero e proprio villaggio agricolo nato nella prima metà dell’Ottocento con l’accorpamento di volumi diversi. Tra gli edifici si segnala la chiesa dedicata alla SS. Maria Addolorata, costruita nel 1854 e caratterizzata dalla facciata con lo scalone di accesso a doppia rampa. La masseria è stata residenza estiva dei vescovi di Castellaneta dal 1867.